Intervengo premettendo di non voler mescolare l'istanza personale che mi spinge con il necessario distacco che è doveroso quando si tratta un qualsiasi argomento in un mezzo pubblico come un blog.
Alla base della mia pagina sta però anche un’inevitabile appendice pubblica della stessa istanza personale. Ovvero ciò di cui parlo, non è un puro accadimento legato al soggetto tirato in ballo nel libro di cui dirò, ma il «modus operandi» con cui il soggetto medesimo è stato riproposto all’opinione della città.
Mi riferisco alla stampa di alcune pagine di fantasia storica relative ai Templari riminesi ed ai pretesi «frammenti di una leggenda di un anonimo riminese», nelle quali si legge un'attribuzione di paternità di ipotesi sull'argomento ad una persona che conosco benissimo, per essere stato un mio stretto congiunto.
Che questi «frammenti» non possano avere pretese documentarie sotto il profilo storico lo suggerisce anche lo svarione iniziale in cui l'impeto favolistico spinge l'«anonimo riminese» ad ideare la scena nell'alba del 13 ottobre 1307 con in lontananza l'Abbazia di Scolca che «si vedeva appena» (p. 25).
Credo che non si vedesse affatto, e non per colpa della poca luce, ma essendo l'Abbazia di Scolca stata edificata nel 1418 come, per altra mano, nello stesso testo si legge poco prima (p. 20). Ovvero ciò che sa la pagina di destra non sappia la pagina di sinistra.
Embé, se si vuol scrivere di Storia occorrerebbe documentarsi (da parte dell'«anonimo», avvezzo evidentemente a tutt'altre cose) o necessiterebbe correggere da parte del curatore dell'opera.
Lo svarione avrebbe potuto far rinchiudermi le pagine, ed amen. Per fortuna ho continuato a leggere sino a questa chicca di p. 29, dove (riassumo per brevità) si attribuisce ad un'unica mente l'ideazione dello studio-leggenda, la mente del «compianto giornalista Guido Nozzoli che di occultismo ed esoterismo era più di un appassionato cultore».
Dandosi il caso che appunto Guido Nozzoli era fratello di mia madre, e che di questi argomenti (su opposte rive) lui ed io abbiamo attentamente discusso tante volte per cui sono al corrente di tutti i suoi studi e delle sue cosiddette ricerche, mi permetto di intervenire per demistificare un alone di mistero che si è creato in città attorno alla sua figura, e che è ben rispecchiato dalla citazione che ho appena riportato.
In cui vedo riflettersi una di quelle ambiguità letterarie che possono fare la fortuna di un autore (nel caso, l'«anonimo» che ne narra) e la rovina di un personaggio (come «Guido Nozzoli che di occultismo ed esoterismo era più di un appassionato cultore»).
La dolorosa situazione in cui venne a trovarsi per la perdita della figlia nel 1992, costituì per lui l'inconsapevole aggravamento della spinta verso interessi e studi precedenti che riguardavano l'alchìmia, senza che egli però potesse rendersi conto del contrasto che aveva vissuto tra la certezza che alcuni pseudo-ricercatori gli davano circa l'esistenza di sostanze naturali capaci di guarire qualsiasi malattia, ed il progredire inesorabile di quella della figlia stessa.
Sono sicuro che la sofferenza di padre gli abbia procurato una specie di dissociazione tra la realtà ed il sogno, come prima avvisaglia della demenza senile che ha duramente caratterizzato gli ultimi anni della sua vita.
La mia chiarezza e puntualità nel riferire questi particolari non va intesa come indelicatezza verso mio zio, ma come occasione necessaria per chiarire certe situazioni che in città vengono artatamente mistificate.
Al contrario è abbastanza volgare l'accenno che ne fa l'«anonimo» quando parla di «un ormai vecchio, ma sempre fascinoso, Guido Nozzoli». Anche qui c'è una nascosta allusione in quell'«ormai vecchio», come nell'«era più di un appassionato cultore».
Ecco perché ho parlato di ambiguità letterarie. C'è chi cerca il suo quarto d'ora di notorietà con questi mezzucci, senza dichiararsi, e soprattutto inventando aspetti di una persona fino a farne un personaggio che non risponde al vero, avendo la persona in questione alle sue spalle studi filosofici d'indirizzo marxistico mai ripudiati ed anzi confermati sino all'ultimo giorno nel loro risvolto di «prassi» politica.
Lasciamo in pace i defunti, altrimenti creiamo fantasmi che non corrispondono al vero, e che soprattutto non possono correggere le fantasie dei posteri.
Antonio Montanari
Rimini, 26 maggio 2006