Quando Mariù Pascoli nel 1938 scrive al duce
Per aiutare amici ebraici inventa uno Zvanì razzista
Il 21 ottobre 1938, anno XVI E. F., Maria Pascoli scrive a Benito Mussolini: «Duce! Esaudite questa mia preghiera per amore degli esseri che vi sono più cari». La sorella del poeta di San Mauro invoca: «Includete nella categoria degli ebrei privilegiati la famiglia di Angiolo Orvieto di Firenze…». Angiolo Orvieto (1869-1968) era un intellettuale e poeta che un anno prima aveva pubblicato un volume su «Pascoli e i suoi amici ai tempi della ‘Vita Nuova’», la quale era una rivista (1889-91) antipositivista alla cui fondazione Orvieto aveva partecipato, ed alla quale avevano collaborato Zvanì e D’Annunzio.
Aggiunge Maria Pascoli: «Fate, Duce, questa grazia anche pensando che Angiolo era molto amico del mio Giovannino e del Pistelli i quali, se oggi fossero qui – pur non essendo affatto teneri per la razza ebraica – intercederebbero per lui». Il padre scolopio Ermenegildo Pistelli (1862-1927) fu filologo famoso per studi e ricerche di papiri in Egitto.
L’epistola di Mariù, ritrovata dalla storica Paola Frandini, è stata pubblicata, per concessione dell’Archivio di Stato, dal «Corriere della Sera» (11 marzo 2006) a corredo di un articolo di Paolo Fallai che nel sottotitolo riassume l’argomento: «Lettere disperate a Mussolini all’epoca delle leggi razziali».
Dunque, secondo Mariù, Giovannino non fu «tenero» verso la «razza ebraica». Lei, la sorella di un socialista (ha scritto nel 2005 Maria Santini in «Candida soror», p. 272), da «tipica borghese del suo tempo, non particolarmente acuta o portata al sociale», finì tra i sostenitori acritici del fascismo da cui «ottenne molti favori». Forse (anzi, indubbiamente) nel messaggio di Mariù al duce c’è soltanto il tentativo (rivelatosi poi vano) di catturarne la benevolenza a fin di bene e senza andare troppo per il sottile, anzi tradendo la verità storica che risulta da testi di eminenti studiosi. Ne citiamo due, presenti nel volume sammaurese curato da G. M. Gori su «Pascoli socialista» (2003).
Marino Biondi osserva che Pascoli ha una posizione politica che ritiene necessario il dialogo pietoso, la supremazia dell’amore e del cuore al posto della coercizione e della guerra (p. 116). Renato Barilli spiega che in Pascoli la Bibbia degli Ebrei e dei Cristiani fu superiore all’insegnamento morale laico di Socrate, Platone, Orazio e Virgilio perché predicò la fratellanza universale (p. 164).
Mariù e Benito Mussolini si erano incontrati il 21 settembre 1924 a Rimini e nel maggio 1930 a Castelvecchio. A Rimini quel giorno il poeta fu commemorato da Alfredo Panzini. Per l’occasione in un periodico locale apparve un retorico articolo di don Domenico Garattoni che arruolava Zvanì tra i precursori del fascismo. In quel 1924 il 10 giugno era stato rapito Giacomo Matteotti, il cui cadavere fu ritrovato il 16 agosto.
La lettera di Maria Pascoli, come ho anticipato, non produsse alcun effetto. Scrive Fallai che le fu inviata una «sprezzante risposta», ovvero che l’esame della famiglia Orvieto era già stato «devoluto all’apposita commissione».
Antonio Montanari
Il 21 ottobre 1938, anno XVI E. F., Maria Pascoli scrive a Benito Mussolini: «Duce! Esaudite questa mia preghiera per amore degli esseri che vi sono più cari». La sorella del poeta di San Mauro invoca: «Includete nella categoria degli ebrei privilegiati la famiglia di Angiolo Orvieto di Firenze…». Angiolo Orvieto (1869-1968) era un intellettuale e poeta che un anno prima aveva pubblicato un volume su «Pascoli e i suoi amici ai tempi della ‘Vita Nuova’», la quale era una rivista (1889-91) antipositivista alla cui fondazione Orvieto aveva partecipato, ed alla quale avevano collaborato Zvanì e D’Annunzio.
Aggiunge Maria Pascoli: «Fate, Duce, questa grazia anche pensando che Angiolo era molto amico del mio Giovannino e del Pistelli i quali, se oggi fossero qui – pur non essendo affatto teneri per la razza ebraica – intercederebbero per lui». Il padre scolopio Ermenegildo Pistelli (1862-1927) fu filologo famoso per studi e ricerche di papiri in Egitto.
L’epistola di Mariù, ritrovata dalla storica Paola Frandini, è stata pubblicata, per concessione dell’Archivio di Stato, dal «Corriere della Sera» (11 marzo 2006) a corredo di un articolo di Paolo Fallai che nel sottotitolo riassume l’argomento: «Lettere disperate a Mussolini all’epoca delle leggi razziali».
Dunque, secondo Mariù, Giovannino non fu «tenero» verso la «razza ebraica». Lei, la sorella di un socialista (ha scritto nel 2005 Maria Santini in «Candida soror», p. 272), da «tipica borghese del suo tempo, non particolarmente acuta o portata al sociale», finì tra i sostenitori acritici del fascismo da cui «ottenne molti favori». Forse (anzi, indubbiamente) nel messaggio di Mariù al duce c’è soltanto il tentativo (rivelatosi poi vano) di catturarne la benevolenza a fin di bene e senza andare troppo per il sottile, anzi tradendo la verità storica che risulta da testi di eminenti studiosi. Ne citiamo due, presenti nel volume sammaurese curato da G. M. Gori su «Pascoli socialista» (2003).
Marino Biondi osserva che Pascoli ha una posizione politica che ritiene necessario il dialogo pietoso, la supremazia dell’amore e del cuore al posto della coercizione e della guerra (p. 116). Renato Barilli spiega che in Pascoli la Bibbia degli Ebrei e dei Cristiani fu superiore all’insegnamento morale laico di Socrate, Platone, Orazio e Virgilio perché predicò la fratellanza universale (p. 164).
Mariù e Benito Mussolini si erano incontrati il 21 settembre 1924 a Rimini e nel maggio 1930 a Castelvecchio. A Rimini quel giorno il poeta fu commemorato da Alfredo Panzini. Per l’occasione in un periodico locale apparve un retorico articolo di don Domenico Garattoni che arruolava Zvanì tra i precursori del fascismo. In quel 1924 il 10 giugno era stato rapito Giacomo Matteotti, il cui cadavere fu ritrovato il 16 agosto.
La lettera di Maria Pascoli, come ho anticipato, non produsse alcun effetto. Scrive Fallai che le fu inviata una «sprezzante risposta», ovvero che l’esame della famiglia Orvieto era già stato «devoluto all’apposita commissione».
Antonio Montanari
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