25 febbraio 2007

Dico Binetti, ma non capisco


Binettodonnamoderna Paola Binetti è stata intervistata sulla Stampa di stamani, 24 febbraio 2007.
Ho la cattiva abitudine di leggere soltanto le risposte, nelle interviste.
Per cui ho compreso che la Binetti ha ringraziato il Padreterno perché è caduto il governo Prodi. Che lei e i suoi colleghi di partito lo hanno aiutato soltanto, lui gli ha detto lavorate e loro hanno lavorato. Che non hanno ricevuto nessuna telefonata da lui. Che invece la Binetti si è sentita con lui.
A questo punto ho dovuto leggere anche le domande.
Chi ha detto di lavorare non è stato il Padreterno, ma Rutelli.
Chi non ha telefonato è stato il cardinal Ruini.
Quello con cui si è sentita la Binetti, è stato Mastella.
Va bene, ho fatto confusione io, ma non scherza neppure la Binetti che mescola Padreterno e Mastella passando per Rutelli (quello che li ha fatti lavorare) ed addirittura Ruini, l'ingrato che non ha telefonato.
Tutto bene, ma si potrebbe (pure se si è la Binetti) rispettare il comandamento: “Non pronunciare il nome di Dio invano” (Dt 5,11).

Vedi anche qui:

17 febbraio 2007

Noi fancazzisti contro il cemento di Rimini

Lettera inviata al Corriere Romagna
Contro il cemento, Rimini ha reagito così


Tutta la Gallia è divisa in tre parti, scrisse Giulio Cesare all’inizio di un’operetta che si faceva leggere e tradurre mezzo secolo fa ai poveri studenti alle prese con i latinucci delle Medie ante-riforma. Prendo a modello la prosa dell’illustre condottiero che dalle nostre parti passò. E che proprio nel foro di Rimini arringò i suoi soldati dopo aver superato il Rubicone.
Prendo a modello Giulio Cesare per sostenere non senza fondamento che anche la popolazione di Rimini (o quasi tutta) si può dividere in tre parti: i silenti, i mugugnanti ed i parlanti.
Le prime due categorie hanno in comune l’intenzione di non arrecare danno a loro stesse, consapevoli del fatto che aver il coraggio di parlare non è la stessa cosa che aver il coraggio di far male ai propri affari.
Silenti e mugugnanti infatti pensano soltanto alle proprie tasche. Con la differenza che chi non parla in pubblico può anche sussurrare in privato. Mentre chi manifesta qualche malcontento borbottando davanti a tutti, può mirare a salvarsi l’anima, facendo finta di essere aperto a criticare il prossimo. Ma in realtà pensando bene di non esporsi troppo arditamente. Per cui forse potrebbe essere anche ben più pericoloso dei colleghi silenti. I quali semplicemente tacciono, mentre il mugugnante s’inventa un ruolo di recita finalizzata al proprio interesse e non a quello collettivo.
La terza ed ultima categoria, quella dell’«homo ariminenis loquax» (da non intendersi secondo quanto suggeriscono i dizionari classici, come «chiacchierone», ma semplicemente come «colui che parla»), risulta storicamente composta soprattutto da ingenui e temerari individui che hanno il coraggio delle loro opinioni e non si spaventano se debbono manifestarle, nei dovuti modi della civiltà e della correttezza, davanti al tribunale della Pubblica Opinione.
Orbene, nella vicenda del motoraccio immobiliare, la mia teoria sulle tre specie di concittadini (i silenti, i mugugnanti ed i parlanti) ha trovato ferrea conferma.
Molti politici hanno parlato in ritardo sui tempi di una decenza pubblica che risiede nel principio di fare gli interessi della collettività, e non quelli di questo o quel potentato economico. Molti altri non hanno detto nulla. Alcuni hanno finto di parlare, con quell’abilità che serve indubbiamente a scalare le vette dell’oratoria cattedrattica o congressuale, ma che si ferma nel concreto d’ogni giorno sulla soglia del principio evangelico di scegliere tra il sì ed il no per non farsi prendere la mano dal demonio.
Qualcuno s’è azzardato e si è tirato indietro, come quando si viaggia in treno e si guarda fuori dal finestrino, ma poi si scopre il cartello ammonitore che vieta quel gesto, pena la multa da parte del controllore.
Molti, invece, hanno parlato per merito di questo giornale che li ha ospitati e che ha favorito ed incoraggiato il dibattito.
Avendo partecipato dalle colonne del «Corriere» a questo stesso dibattito, non ho però bisogno di appuntarmi sul petto la coccarda del parlante. Ma solo quello di confermare ai pubblici amministratori che noi cittadini non staremo zitti, anche se siamo stati già additati a pubblico ludibrio come scansafatiche che, anziché sobbarcarci il peso di un impegno amministrativo, stiamo in panciolle a criticare quanto i nostri rappresentanti eletti concepiscono, sudando nelle segrete stanze del Potere.
Saremo scansafatiche (o «fancazzisti» come scrivono modernamente), ma intanto qualcosa abbiamo combinato pure noi, lasciatecelo dire. Abbiamo fermato (si spera…) una rovinosa colata di cemento in questa città dove parlare ha un prezzo, e dove silenzio e mugugni sono sempre stati regolarmente ricompensati a tassi da usura.
Antonio Montanari
Rimini