30 aprile 2006

Barbara Spinelli sul Colle

Candidiamo Barbara Spinelli per il Quirinale

E adesso dobbiamo pensare seriamente alla Politica. L’elezione di Franco Marini al Senato lascia un’ombra d’inquietudine. Per arrivare alla conclusione, hanno dovuto escogitare il sistema delle schede «segnate». Violato il segreto dell’urna. L’elezione potrebbe essere invalidata. Testuale citazione dai giornali di oggi 30 aprile 2006 (ad esempio, vedi «Repubblica» pagina 10): i senatori di Ds e Rifondazione hanno scritto «Franco Marini», quelli della Margherita «Senatore Franco Marini», quelli dell’Udr «Franco senatore Marini», e l’Italia dei valori aveva da indicare l’ultima formula «Marini Franco».

Clemente Mastella ha dichiarato al «Corriere della Sera»: la congiura delle schede con «Francesco Marini» è stata una mia idea, ma poi a tradire sono stati quelli della Margherita, non la facciano lunga altrimenti dico i nomi.

Sulla «Stampa» il fondo consueto domenicale di Barbara Spinelli ammonisce, a proposito di tutto ciò: «I miasmi delle ultime ore converrà tenerseli accanto come ammonimenti», ricordando il contributo di Giulio Andreotti all’inquinamento del clima politico in questi giorni.

Pensando al Quirinale, e leggendo il suo articolo, ci passa per la mente l’idea di proporre Barbara Spinelli come candidata dell’Unione al Quirinale. Lontana da quei giochi nascosti e dai miasmi politici che denuncia ed analizza impietosamente (non soltanto oggi, ma da sempre), lei pare l’unica persona credibile per l’altissima carica da cui si dovrà offrire la Paese la garanzia di una trasparente indipendenza, di una solida autonomia di giudizio, di una correttezza di analisi che sono fondamentali in un momento confuso come quello che stiamo attraversando. Quindi candidiamo Barbara Spinelli al Quirinale.

Antonio Montanari

28 aprile 2006

Sylvia Ronchey e Sigismondo Malatesti

Sigismondo, il sogno di regnare a Bisanzio
La tesi di Silvia Ronchey in un libro su Piero Della Francesca

I Malatesti di Pesaro e Rimini sono la trama sulla quale Silvia Ronchey, docente di Civiltà bizantina all'Università di Siena, compone un affascinante e colorito arazzo letterario che ha per centro logico la «Flagellazione» di Piero Della Francesca ed i suoi significati allegorici.

L'autrice colloca Sigismondo ed il nostro Tempio in un contesto di politica internazionale (la contrapposizione tra Roma e Bisanzio), nel quale il signore di Rimini è considerato protagonista del tentativo (fallito) di salvare Costantinopoli, con la spedizione in Morea del 1464-1466. Sigismondo si sarebbe rappacificato con il papa in vista di questa spedizione che aveva come scopo quello di occupare il trono di Bisanzio. Dove invano si era atteso un erede proprio da una Malatesti, Cleofe (o Cleopa), cugina pesarese di Sigismondo e dal 1421 sposa di Teodoro II Paleologo despota di Morea e secondogenito dell'imperatore di Costantinopoli Manuele II.
Cleofe scompare nel 1433. La sua è una morte «oscura» secondo la Ronchey. Cleofe era stata minacciata di ripudio per non volere abiurare la fede cattolica. Altre fonti raccontano diversamente la fine di Cleofe, e la dicono fuggita da Bisanzio assieme al fratello Pandolfo, gobbo e sfortunato vescovo di Patrasso dal 1424.
In questo libro si accenna all'ipotesi che sia di Cleofe la mummia ritrovata nel 1955 in una chiesa di Mistra, l'antica Sparta capitale della Morea. Se Cleofe «fosse stata assassinata, Sigismondo Malatesta avrebbe avuto da parte sua anche un motivo in più per tenere tanto a condurre la crociata» in Morea. Ma Anna Falcioni dell'Università di Urbino ha spiegato (1999) che Cleofe e Pandolfo nel 1430 fuggirono da Mistra. Due anni prima Cleofe si era detta «sagurata» (sciagurata) scrivendo alla sorella Paola, e si era raccomandata alle di lei preghiere.

La Ronchey mette in guardia contro le «elucubrazioni fantastiche» degli ambienti esoterico-massonici, ma finisce per accettarne pienamente una che, con il francese Charles Yriarte [1832-1898], conclude appunto sulla via esoterico-massonica del Tempio pagano, come confermerebbe il trasferimento in esso da parte di Sigismondo, delle ossa di Pletone definito da qualcuno capo supremo della massoneria europea...

Yriarte nel 1882 («Un condottiere au XV siècle») aveva sottolineato come nelle allegorie e nei simboli del nostro Tempio ritornassero miti, credenze e spirito dei greci, scartando in tal modo sbrigativamente ogni influsso cristiano («Non è Dio che qui si adora, è Isotta; è per lei che bruciano l'incenso e la mirra»). Corrado Ricci nel suo celeberrimo studio sul Tempio parla di «facilità irriflessiva» di Yriarte.

Per la Ronchey le ossa di Pletone trasferite a Rimini sono un «messaggio politico», testimonianza della pretesa di Sigismondo di accampare diritti sul trono bizantino. Su quest'ipotesi si elabora tutto il discorso del libro, essere cioè la «Flagellazione» un'opera di propaganda per una crociata diretta a liberare Costantinopoli caduta nel 1453 in mano ai mussulmani. Il volume («L'enigma di Piero. L'ultimo bizantino e la crociata fantasma nella rivelazione di un grande quadro», Rizzoli, pp. 540, euro 21), ha un'appendice di completamento su Internet liberamente consultabile.

Antonio Montanari

26 aprile 2006

Milano, cretini nel corteo

Un cretino isolato merita compassione, due cretini assieme possono consolarsi tra loro, tre costituiscono già una specie di associazione a delinquere. Se poi arriviamo al corteo di cretini, Dio ce ne scampi e liberi, come hanno dimostrato quelli di Milano che hanno contestato la signora Letizia Brichetto Moratti, attuale ministro della Pubblica Istruzione, mentre sfilava per il 25 aprile accompagnando il padre, Paolo Brichetto Arnaboldi, un partigiano decorato con due medaglie, una d’argento e l’altra di bronzo, ed internato a Dachau. Poi quei cretini hanno bruciato una bandiera d’Israele: infatti sfilavano anche alcuni rappresentanti della brigata ebraica che hanno combattuto tra le truppe inglesi nella campagna d’Italia, contribuendo alla liberazione del nostro Paese dai nazi-fascisti.

Il neo deputato di Rifondazione onorevole Francesco Caruso ha tirato in ballo Sandro Pertini per quel suo motto «Libero fischio in libero Stato» che il giovine ha riproposto come giustificazioni per le grida dirette al ministro. Pertini non può rispondere, ma immaginiamo che se potesse farlo ricorrerebbe ad un sostanzioso turpiloquio rivolgendosi direttamente all’onorevole collega Caruso. I cretini non sono mai adulti. Gli adulti vaccinati possono invece chiedere alla signora Letizia Brichetto Moratti nella sua veste di esponente politico della maggioranza, dove abbia trovato i due milioni di voti che lei assicura di aver contato in più rispetto ai concorrenti che hanno vinto le elezioni: lo ha detto dialogando con la signora Bignardi in una delle «interviste barbariche» su La7. La signora Brichetto Moratti che sfila a Milano spingendo la carrozzella su cui siede suo padre, ha il diritto del massimo rispetto, anche se è candidata a sindaco della sua città.

Stiamo tornando indietro ad una situazione di trent’anni fa quando in una assemblea il gesto di chiedere la parola veniva accusato da qualche spiritoso barbuto come espressione di saluto romano. In questi trent’anni molti che usavano il pugno chiuso adesso sono lì a godersela con quelli che rimpiangono il saluto romano, ed hanno nostalgie passatiste senza consapevolezza della Storia.

Credo che una lezione di civiltà possa essere impartita a tutti da una donna dal cognome celebre: Barbara Berlusconi, sempre in una «intervista barbarica» con la signora Daria Bignardi, ha espresso le sue opinioni in tono oscillante tra il timido e riservato (giustamente, quando si parlava di suo padre) ed anche una ben precisa consapevolezza quando si parlava delle trasmissioni televisive che quelli di casa sua (fratello e sorella) mandano in onda e che lei non approva. Se i meriti dei figli non possono diventare pregi dei padri come per la signorina Barbara, nello stesso modo gli errori dei figli (nella fattispecie la signora Brichetto Moratti) non possono permettere l’oltraggio ai padri come avvenuto al corteo milanese del 25 aprile. Altrimenti c’è una barbarie politica che non è quella ironica delle interviste della signora Bignardi. E che purtroppo è già stata sperimentata in tutte le sue forme nel secolo scorso.

Michele Marziani in romanzo

Michele Marziani arriva in libreria con il romanzo "La trota ai tempi di Zorro" (edizioni DeriveApprodi, Roma, maggio 2006). Gli abbiamo posto due domande. Ecco le sue risposte.

http://blog.libero.it/ilrimino/view.php?msg=1090962

20 aprile 2006

«Saluti da Rimini»

09 aprile 2006

Per caso

Se uno che appare in televisione dicendosi pronto ad organizzare una festa per la liberazione del piccolo ostaggio, è considerato poi un presunto autore dell'omicidio della stessa creatura, allora ovviamente sui giornali si cerca di ragionarci sopra. Non si pensa che la televisione farebbe bene a non dare spettacolo con il dolore di ogni giorno fingendo contrizione ma mirando soltanto agli ascolti e quindi ad incassare pubblicità e ad incrementare gli utili di bilancio. No, si cerca di andare più a fondo nei segreti dell'animo umano, e si leggono righe bellissime sul tipo: nel nostro mondo «che idolatra la mediocrità» per alcuni è più facile «recitare le loro menzogne con una gelida indifferenza».

Così Bruno Ventavoli ha scritto sotto il titolo «L'arte perversa del dissimulare», ammucchiando anche richiami storici che lo hanno portato, in una successiva pagina intera sullo stesso quotidiano «La Stampa», ad affrontare un approfondimento in cui alla fine al lettore meno preparato non pareva differente il presunto omicida dei nostri giorni da qualche scrittore del passato che aveva invece affrontato il tema con intenzioni diverse da quelle che un qualsiasi assassino potrebbe assumere per guida al proprio agire. Onde suggerire che le cose sono leggermente più complesse, basterebbe aggiungere che nelle prose scientifiche del Seicento, stante la condanna di Galileo, si ricorse al «vero in maschera» (come dice il titolo di un libro di Emanuele Zinato) per evitare le censure. Oppure che esiste una «dissimulazione romanzesca», altro titolo di un fondamentale saggio di Ezio Raimondi sul romanzo di Alessandro Manzoni, dove di spiega che la parola dissimulazione in epoca barocca voleva indicare il «dire in poche parole molte cose».

Nella nostra epoca invece si dicono con molte parole poche cose, oltretutto prendendo lucciole per lanterne. In un passo del libro di Raimondi si ricorda la scena di Renzo che afferma: «La bocca l'abbiamo anche noi, sia per mangiare, sia per dire la nostra ragione». Commenta Raimondi: «Scegliere la strada dell'ironia, ha osservato qualcuno, vuol dire cercare la giustizia». L'umanità si è sempre chiesta se le era concesso di mangiare, a quanti era lecito di dir la propria ragione, e pure se la strada dell'ironia era aperta o meno, anche se non soprattutto per «cercare la giustizia». Non ricordavo più la citazione di Raimondi, l'ho ritrovata prima di mettermi al computer. Per caso, si suol dire.

Post scriptum. Anche questo post potrebbe essere un esempio di dissimulazione... politica.

03 aprile 2006

Biblioteche

Taglio di fondi a biblioteche e archivi in Emilia Romagna.
Vedi articolo in www.biblioatipici.it.

Errico Malatesta e Rimini 1872

«Se il nostro lavoro fosse continuato concorde come durante i sette od otto anni dopo la fondazione a Rimini della Federazione italiana (1872), ben altra, io credo, sarebbe oggi la situazione italiana.»
Tutto l'articolo in classicistranieri.com

02 aprile 2006

Qui Parigi

In Francia durante una manifestazione studentesca contro il «Cpe» (contratto di primo impiego), è apparsa ad un semaforo di Bordeaux una ragazza vestita come la Marianna dipinta nel 1830 da Eugène Delacrois in un quadro famoso intitolato «La libertà che guida il popolo». Marianna è immagine della Repubblica per un decreto del 1792. Questa ragazza del 2006 che raccoglie nel suo abbigliamento ben 214 anni di Storia, si chiama Florence. Anche lei come la Marianna del 1830 (quando le tre giornate di luglio posero fine al potere assoluto di Carlo decimo), aveva in mano il tricolore. Consapevole di che cosa la sua presenza significasse, Florence ha detto: «La Marianna è da sempre il simbolo del popolo francese, dalla rivoluzione del 1789 alla liberazione di Parigi dai nazisti».

Le proteste contro il «Cpe» sono nate per iniziativa di un altro giovane di cui, come per Florence, conosciamo soltanto il nome: si tratta di Simon, ventiquattro anni, figlio di un allevatore di mucche e di una libraia che gestiva il negozio in un piccolo villaggio, l'unico del genere in un raggio di cento chilometri, come ha raccontato Anais Ginori su «Repubblica» di domenica 2 aprile 2006. Laureato in Scienze politiche nel 2002, due anni dopo Simon ha conseguito un master in Storia europea. Parla tre lingue. Lavora in un call center con contratti (rinnovabili) di cinque giorni. Suo nonno gli ha spedito i soldi per comprarsi un vestito nuovo. Se tutto va bene, guadagna 800 euro al mese. Vive in un monolocale di diciotto metri quadri con un amico, 280 euro d'affitto in due al mese, ovviamente in nero, e grazie ad un giro di amicizie. «Nessun proprietario di case fa contratti con gente come noi», sostiene: «E se hai bisogno di soldi nessuna banca ti farà mai credito. Te l'ho detto siamo invisibili». Stare in una periferia (in quelle banlieue che hanno preso fuoco sul finire dello scorso anno) fa spendere molto di più per i mezzi di trasporto.

Un'altra sua definizione: siamo la generazione dei lavoratori-kleenex, dal nome dei fazzoletti di carta, ovvero «usa e getta». Spiega: non facciamo un nuovo Sessantotto, siamo messi peggio dei nostri genitori anche se oggi come allora la classe dirigente «è completamente staccata dalla realtà e ci disprezza». Li accusano di difendere vecchi privilegi e di essere quindi dei conservatori. Simon nega e pensa di emigrare. Intanto arriveranno altri immigrati nelle banlieue, con altri problemi.

Rimini, Borgo San Giuliano

Bellissima immagine di Roberto Ferrari

Demos Bonini


Demos Bonini, il pittore riminese nato nel 1915 e morto nel 1991, amico di Federico Fellini con il quale, prima della guerra aprì un negozio di caricature, sarà il protagonista di un omaggio con una mostra antologica, allestita nel Palazzo del Podestà di Rimini inaugurata il prossimo 8 aprile, che rimarrà aperta fino al 14 maggio.
Su Demos Bonini, vedere il mio articolo su «il Ponte» n. 31 del 1/9/91, intitolato "Pittore realista per farmi capire".
Link Riministoria.

Rimini, piazza della Fontana

Rimini, la fontana della pigna in piazza Cavour.
Foto originale in alex-florence.blogspot.com
Riprodotta anche in tuttorimini.blogspot.com