05 febbraio 2009

Sergio Zavoli, il sempreverde



Zavoli_02_09
Auguri, Sergio Zavoli. A quasi 86 anni rappresenta un mondo ormai scomparso. Ancora in prima linea, come sempre.
Protagonista elegante della scena nella nostra radio prima e poi nella tv, sofisticato parlatore, ora politico un po’ spupazzato per sanare situazioni alle quali guardiamo tutti da osservatori smaliziati con assoluta indifferenza.
Figurarsi se alla sua veneranda età aveva bisogno di presiedere una commissione di vigilanza Rai. Ma tant’è.

Quarant’anni fa composi in un foglio locale una serie di ritratti di glorie concittadine. Per Zavoli intitolai "Una lagrima sul video". Raccontavo tra l’altro di quando arrivava sul porto, accompagnato dall’amico pittore che gli reggeva un sacchetto pieno di carote, che lui, il divo del "Processo alla tappa", gustava e masticava con una calma olimpica. L’amico pittore se la prese a male, non so lui.

Davanti a lui da ragazzo feci una figura terribile, proprio sul porto. Mio zio Guido Nozzoli, suo amico, si era prefissato di fare di me un provetto nuotatore. Alla prima lezione scivolai sui mitici scogli, tagliandomi un polpaccio. Finì lì la mia possibile carriera sportiva, alla quale ero completamente negato. Mi bagnai poi sempre e soltanto sul "bagnasciuga" (so che si dice battigia...) lungo la spiaggia libera, conversando con l’antico amico pittore della combriccola. Che era stato tra l’altro anche mio professore, oltre che amico di famiglia.

Zavoli aveva avuto un debutto giovanile nel giornalismo, sopra il foglio fascista "Testa di Ponte".
Immaginate facilmente come, negli amarcord odierni, quel titolo venga spesso oscenamente deformato.
Due assaggi della sua prosa. «Oggi più di ieri abbiamo bisogno di scuotere i famosi “montoni belanti”, “pecore rognose”… Attorno a te c’è ancora troppa gente che non sa e non è degna di vivere questo grande momento… Deve essere dato a tutti il privilegio di ‘vivere’ e ‘vincere’. Con ogni mezzo». E poi: «Io non sono psicologo: pure con la fiducia nelle nostre idee e in quelle delle generazioni capaci di comprenderci, arriveremo!».

«Salvò quei giorni di ragazzo […] con franco pudore». Zavoli ricorda in «Romanza» (1987) il 25 luglio 1943 vissuto da suo padre che con «una dignità doverosa» fa sparire nell’orto, in una fossa profonda quasi un metro, «le apparenze» del credo fascista, «giacca, pantaloni, camicia, cravatta, cinturone, mostrine e stivali».
Nei mesi successivi «quando qualcosa di ridotto al minimo, di irrimediabile e violento tenterà di riprodurre quel potere sconfessato, sarà come se nulla del falò riacceso potesse più riguardarlo. E ciò che del regime venne dopo restò al di fuori della sua storia e si svolse senza di lui, persino contro».

Rimini_martiri
A quel «falò riacceso» dai repubblichini, invece Sergio portò qualche legnetto. Che lui ha però sempre rimosso, infatti nell’autobiografica «Romanza» non ne parla.

Quando all’inizio del 1943 Gino Pagliarani e Guido Nozzoli erano finiti in carcere, dichiarò nel 1983, si istruirono «dei processi agli amici di Gino. Si voleva stabilire chi stava con Gino, chi ci stava tiepidamente, chi invece con convinzione: o, peggio, chi non ci stava affatto; o, peggio ancora, chi non ne voleva sapere neanche un po’. E nascevano delle sentenze inappellabili che scavavano degli abissi, oppure cementavano delle solidarietà che durano ancora da allora. Ecco quindi profilarsi la presa di coscienza di ciò che stava avvenendo: e fu grazie ai miei due amici», Gino e Guido.

Nel 1994 Gino Pagliarani interviene a proposito dell’orazione commemorativa tenuta da Zavoli ai funerali di Federico Fellini: «Mi dicono che […] incantò la folla. Non mi stupisce. Conosce e pratica virtuosamente l’arte della retorica (fin dai temi del liceo che puntualmente mi leggeva). Gli riconosco -nonostante qualche bidone- anche la volontà e il merito di aver riparato con molte delle sue iniziative televisive certi trascorsi giovanili non di antifascista».
Qualcuno a Rimini ricordava Zavoli in compagnia, con tanto di divisa e di mitra a tracolla, del capo repubblichino che catturò i Tre Martiri poi impiccati, al tempo del «falò riacceso».

Altri rammentavano la presenza di Zavoli nella vicina Coriano, aprile 1944, quando avvenne la cattura di due «disertori», Libero Pedrelli e Vittorio Giovagnoli, poi affidati al tribunale tedesco che li fece fucilare il 18 maggio ad Ancona.
Il ricordo fu riacceso quando a Coriano giunse una troupe della Rai per un’inchiesta televisiva sul fascismo diretta da Zavoli. Gli operatori non furono però guidati dallo stesso Zavoli, ma da un giornalista della sede Rai di Bologna.

Potete scaricare il mio libro "Giorni dell'ira. Settembre 1943 - settembre 1944 a Rimini e a San Marino". Il volume è leggibile pure da questa pagina.



[05.02.2009, anno IV, post n. 41 (761), © by Antonio Montanari 2009. Mail]



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