27 agosto 2006

Giovinezza politica

Racconta la poetessa Alda Merini che da giovane nel dopoguerra fu licenziata dallo studio legale dove lavorava perché scoperta a scrivere liriche in ufficio («Lei non ha idea dell'avarizia degli avvocati»). Tra i suoi primi versi alcuni riguardavano il leggendario banchiere Enrico Cuccia, che per ovvi motivi chiamava «il gobbo». Una mattina Alda Merini (si era nel 1948, lei era nata nel 1931) fermò Cuccia e gli disse: «Io ho fame». Lui rispose: «Buon segno», e «tirò dritto». Il ricordo è esemplare per tanti motivi, tra cui quello che riguarda il rapporto fra le generazioni. Giovani che chiedono, vecchi che non rispondono a tono, facendo finta di non capire.
L'argomento è stato trattato anche in un seminario organizzato da politici che appartengono alla «generazione del 1966» o giù di lì, e che avendo quindi soltanto più o meno quarant'anni sono visti negli austeri ambienti di Senato e Camera come debuttanti in attesa di formarsi un'esperienza sul campo. Un latinista «di prima grandezza» (Alessandro Schiesaro) definisce l'Italia un Paese di corporazioni chiuse, vecchie, poco innovative e poco ricettive ovvero, traducendo in lingua corrente, per nulla aperte a chi non ne fa parte. Lo stesso discorso è stato fatto da Enrico Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con una formula elegante: in Italia sia in politica sia nell'università sia nelle professioni sia nel giornalismo, c'è un problema, «la logica della cooptazione», ovvero la scelta dall'alto, aggiungiamo noi, la chiamata da parte di chi comanda, per cui come dice Letta «per andare avanti devi avere un capofila che ti tira su».
Le cronache del seminario dei quarantenni che bene o male contano qualcosa (ed hanno buone speranze di migliorare le loro posizioni già invidiabili), si sono incrociate con una polemica avviata da una rubrica della «Stampa» curata da Massimo Gramellini. Il quale ha definito «la molle gioventù» quella di oggi che non riesce a staccarsi dalla casa paterna, non frequenta le facoltà scientifiche perché troppo impegnative, si laurea comodamente dopo anni di «fuoricorso», e poi per non affrontare ostacoli va a far la fame nei call center (come oggi chiamano i centralini telefonici). Una tal Luisa gli ha scritto che i vecchi non incoraggiano le nuove idee dei giovani. Per me ha ragione lei. Da antico insegnante preferisco frequentare i giovani. I miei coetanei (peggio se più anziani) sono insopportabili saccenti.

20 agosto 2006

Prodi o Prudenti?

Manager incarcerati per una serie di reati che vanno dalla criminalità vera e propria a «miseri imbrogli legali». Diffidenza e sfiducia diffuse ovunque. Costose nuove regole. Il quadro si riferisce agli Usa, ed è delineato in un volume scritto dal sociologo Daniel Yankelovich (classe 1924), «Profitto con onore», Yale University Press.
Da una sua pagina presentata ne «Il Sole-24 ore» di oggi 20 agosto, ricaviamo un passo illuminante per qualsiasi Paese: «Leggi e regolamenti non assicurano la buona condotta», infatti «uno studio legale prospera solo quando i suoi avvocati sanno consigliare i clienti su come aggirare la legge».
In Italia di recente si è tentato di salvaguardare l’onore degli studi legali, risparmiando ai loro avvocati la fatica di studiare i modi «su come aggirare la legge». Ci hanno pensato direttamente alcuni onorevoli, per caso anche legali delle parti interessate ai provvedimenti approvati dalle Camere. Ma questa è ormai acqua passata.
Nei giorni scorsi il tema delle nuove regole è stato affrontato da alcuni ministri della Repubblica in relazione alla questione fiscale. Come è ben noto, pagare le tasse è ritenuto in Italia un’impresa disonorevole, per cui molti elogiano gli evasori quali eroi degni di stima, ammirazione ed imitazione. Resta celebre la battuta di un presidente del Consiglio, pronunciata mentre era in carica: «Chi è? Ah, siete dei ladri? Per fortuna, temevo che fosse la Guardia di Finanza».
Questa non è acqua passata, anche perché il governo Prodi, a corto di voti e di fiato, dovrà prima o poi fare i conti con quell’ex-presidente, al quale sul tema delle tasse sta dando una mano la stessa maggioranza. Il ministro di Clemenza e Giustizia, Clemente Mastella, ha inventato uno di quei giochini estivi che furoreggiano sui giornali, «prendi un cognome e storpialo». La discussione verteva su come stanare gli evasori, e sulla necessità di un’anagrafe dei contribuenti per controlli incrociati (che ci illudevamo fossero stati già realizzati da trent’anni, come promesso).
Mastella è intervenuto dichiarando che «Visco fa rima con fisco», per cui quando parla deve essere più cauto. Sarebbe come sostenere che il ministro alla Difesa Parisi potrebbe essere spinto dalla rassomiglianza con la capitale della Francia, ad infastidire Chirac per l’invio di truppe Onu in Libano. E che Prodi sarebbe più efficace nella sua azione di capo dell’esecutivo se si chiamasse soltanto onorevole Prudenti.