Ingorgo Napolitano
Con gioia esplosiva Cesara Buonamici lunedì 8 maggio alle 20 annunzia dal Tg5 che per il Quirinale anche il Centro-destra ha scelto Giorgio Napolitano. La fonte è il suo direttore Carlo Rossella. La smentita viene dai fatti. La sera dopo al direttore del Tg1 l'on. Fini confida: «Caro Mimun, chissà come sarà arrabbiato Rossella per quella notizia che gli ha dato il suo principale... informatore». Il velenoso rovesciamento grammaticale dell’aggettivo «principale» in sostantivo abbassa Rossella al rango di voce del padrone. La vicenda della presidenza della Repubblica si è svolta nella particolare congiuntura dell’ingorgo istituzionale con elezioni politiche, formazione del governo, prossimo referendum per le riforme costituzionali che riguardano pure le funzioni dello stesso capo dello Stato.
Le urne d’aprile hanno dato una maggioranza (per quanto invisibile) all’opposizione con la riforma elettorale voluta per sé dal Centro-destra. Ciampi ha imposto la scelta del successore prima della formazione del governo, rinunciando alle lusinghe del secondo mandato. La sua riconferma e magari la nomina di Prodi prima del voto per il Quirinale avrebbe confusamente accontentato tutti. Il conclamato trionfo dei moderati ad aprile ha portato Bertinotti a presiedere la Camera e Napolitano sul Colle. Lo spostamento a Sinistra (confermato timidamente con Marini al Senato) crea per il governo una situazione matematica anomala. D’Alema piaceva a rametti del Centro-destra (Feltri, Ferrara…) soprattutto come burla e tranello per Prodi. Il quale ripensando ad otto anni fa è restato soddisfatto dell’accantonamento di D’Alema grazie a Rutelli, Boselli, Fini e Casini.
Napolitano ripropone la storia di un partito che dal credo stalinista è passato a quello dei riformisti, un tempo vituperati e bollati come «fascisti» dalle Botteghe (non per nulla) Oscure. È una storia però non conclusa se i Ds per il Colle non hanno accettato Giuliano Amato che è vicepresidente del gruppo socialista europeo di cui essi stessi fanno parte. «Dal Pci al socialismo europeo» non a caso è il titolo dell’autobiografia di Napolitano.
Il problema del riformismo sarà sul tavolo ancora per anni, tra le astuzie logiche di Bertinotti (fascinoso leader da salotto), la sconfitta di Fassino (grande elettore di D’Alema), le ire di Berlusconi contro Casini e Fini, e le sue promesse rivoluzionare di non pagare le tasse con un comunista sul Colle.
Le urne d’aprile hanno dato una maggioranza (per quanto invisibile) all’opposizione con la riforma elettorale voluta per sé dal Centro-destra. Ciampi ha imposto la scelta del successore prima della formazione del governo, rinunciando alle lusinghe del secondo mandato. La sua riconferma e magari la nomina di Prodi prima del voto per il Quirinale avrebbe confusamente accontentato tutti. Il conclamato trionfo dei moderati ad aprile ha portato Bertinotti a presiedere la Camera e Napolitano sul Colle. Lo spostamento a Sinistra (confermato timidamente con Marini al Senato) crea per il governo una situazione matematica anomala. D’Alema piaceva a rametti del Centro-destra (Feltri, Ferrara…) soprattutto come burla e tranello per Prodi. Il quale ripensando ad otto anni fa è restato soddisfatto dell’accantonamento di D’Alema grazie a Rutelli, Boselli, Fini e Casini.
Napolitano ripropone la storia di un partito che dal credo stalinista è passato a quello dei riformisti, un tempo vituperati e bollati come «fascisti» dalle Botteghe (non per nulla) Oscure. È una storia però non conclusa se i Ds per il Colle non hanno accettato Giuliano Amato che è vicepresidente del gruppo socialista europeo di cui essi stessi fanno parte. «Dal Pci al socialismo europeo» non a caso è il titolo dell’autobiografia di Napolitano.
Il problema del riformismo sarà sul tavolo ancora per anni, tra le astuzie logiche di Bertinotti (fascinoso leader da salotto), la sconfitta di Fassino (grande elettore di D’Alema), le ire di Berlusconi contro Casini e Fini, e le sue promesse rivoluzionare di non pagare le tasse con un comunista sul Colle.
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