26 ottobre 2007

Forleo, le sue ragioni

Forleosantoroblog L'intervista al gip di Milano Clementina Forleo ad «Annozero», spiega molti aspetti oscuri della realtà contemporanea.
Le sue parole non sono suscettibili di equivoco: «Ho subito intimidazioni da soggetti istituzionali».
Il cittadino inerme, che non bazzica codici e pandette (come dicevano una volta le persone esperte delle cose di mondo), che vede in tivù un giudice 'costretto' a confidare a vari milioni di persone una situazione così delicata, non dovrebbe scandalizzarsi, od urlare. Ma soltanto apprezzare, condividere (per quel che vale la sua adesione) il senso di un'esperienza non certamente facile, sapendo che la democrazia si difende non a parole ma con i fatti, come è accaduto ieri sera al gip Forleo.

Forleo ha portato i fatti, non ha recitato arzigogolate teoria sul Diritto penale o processuale. Quei fatti parlano da soli.
«Sono convinta che in momenti di forte crisi istituzionale come questa i magistrati hanno il dovere di non essere prudenti, di non essere sobri, di non stare a casa a scrivere sentenze, di parlare e di esprimersi», ha aggiunto. Lo scandalo dei magistrati che parlano «scoppia sempre quando questi magistrati nelle loro inchieste toccano i poteri forti, quei fili dove c'è scritto "chi tocca muore"».

Per questo appare eccessiva la nota dell'Udeur che parla di «processo stalinista». Beh, conoscere un po' di storia non farebbe male. Diritto di parola per tutti, è un cardine della democrazia. Non costringere un magistrato a denunciare pubblicamente le «intimidazioni» di cui abbiamo sentito ieri sera, spetta alla classe politica, secondo i principi della Costituzione.
Parlare di «processo stalinista» è un diversivo ed un'esagerazione che uomini politici responsabili ed accorti dovrebbero evitare.

Il cittadino inerme, che non bazzica codici e pandette ma appartiene alla folta schiera di chi, all'occorrenza, non può avere giustizia secondo i principi della Costituzione, dà ragione al gip Forleo. E pensa: ce ne fossero... Con la consapevolezza che i silenzi sono letali. Ricordano, quei silenzi suggeriti oggi ai giudici, la massima del manzoniano conte-zio espressa al padre provinciale: «Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire». Ma quella, aggiunge altrove Manzoni, era un'«età sudicia e sfarzosa». Dove per non essere considerati gente perduta sulla terra bisognava avere almeno «un padrone». È questa la società che si rimpiange? Basta dircelo, ed amen.

25 ottobre 2007

Divieto di sosta

Prodiblogstampa251007

Prima o poi per Romano Prodi scatta il divieto di sosta a palazzo Chigi. Difficile rincorrere la cronaca. Ascolti la notizia di una sconfitta della maggioranza, e dopo due forchettate di spaghetti sei già a quattro.
Stamani Guido Anselmi sulla «Stampa» faceva un impietoso quadro della situazione: «L’impopolarità senza precedenti di Prodi è la personificazione di questo problema politico che ingloba e avviluppa Palazzo Chigi, sommando la delusione e la sfiducia dell’elettorato di centro-sinistra, un elemento sociale e psicologico che sarà difficile recuperare, e la rabbia di gran parte dell’elettorato di destra».

Forse l'impopolarità di Prodi ha una componente che dovrà essere studiata. Quanto peso ha in essa la nascita del Pd? Veltroni non c’entra. Lui è li che aspetta il cambio della guardia, come i corazzieri al Quirinale. Prima o poi gli tocca. Il problema Pd è palpabile non nelle analisi degli specialisti, ma nei discorsi della gente. Chi la sa lunga della politica vissuta sulla propria pelle per decenni, dice: embé, ma questo è un partito di sinistra?

La delusione e la sfiducia di cui parla giustamente Anselmi non possono essere mascherati dal brillante risultato dei tre milioni di elettori per il Pd. Ma chi sono gli eletti? Beh, ne conosco alcuni di faccia e di profilo. Non so che ci stiano a fare con un partito di sinistra. Per ora il giochetto funziona. Tutti allegri, brindisi e complimenti, poi verranno le rogne, se si vorrà fare una politica pulita. Se si continueranno i pateracchi, come non detto, chiedo scusa.

Stamattina Michele Serra chiudeva la sua rubrica su «Repubblica» con una domanda interessante: «Perché non proviamo ad affiancare all’estenuante dibattito su come è ridotta la sinistra, anche un piccolo dibattito a latere su come è conciata la destra, poveretta?». Giusto.


Ma la destra «poveretta» sta bene così, con un padrone come il re di Arcore che batte le mani e tutti gli obbediscono. Se non ci fosse Silvius primo, gli altri che farebbero? Certa destra «poveretta» contratta in periferia quello che odia a Roma, come una volta il Pci faceva con la Dc.

Intanto il Vaticano insiste contro «Repubblica». Scrive oggi Ezio Mauro: «"Finiamola". Con questo invito che ricorda un ordine il Cardinal Segretario di Stato della Santa Sede, Tarcisio Bertone ha preso ieri pubblicamente posizione contro l'inchiesta di Repubblica sul costo della Chiesa per i contribuenti italiani, firmata da Curzio Maltese». E poi: «Finiamola? E perché? Chi lo decide? In nome di quale potestà? Forse la Santa Sede ritiene di poter bloccare il libero lavoro di un giornale a suo piacimento?».
Sono solidale con Mauro, sottoscrivendo le parole di Barbara Spinelli (sulla «Stampa» di ieri): occorre sempre «una laica separazione tra fede e politica, … una netta separazione fra cultura e politica, magistratura e politica, economia e politica».

24 ottobre 2007

241007stampablog Madamini, il catalogo è questo...

La lunga lista delle lamentazioni politiche che sorgerebbe spontanea, forse ormai non serve più a nulla.
Si chiedeva stamani Jacopo Iacoboni nel suo blog: «Che si fa se Prodi cade. Votare subito? Riformare la legge elettorale? Far decantare tutto, addirittura per un periodo indefinito?»
La risposta, questo pomeriggio, di Berlusconi («Non dialogo con questa sinistra») a Napolitano («Serve intesa per le riforme»), toglie significato e valore alle tre ipotesi?

Il capo dell'opposizione vuole il voto, ovviamente con questa legge elettorale. Oggi ha ripetuto un'opinione già espressa. Chi deve tagliare la testa al toro, è adesso l'altra fetta dell'opposizione. Al voto con la legge attuale, si aspetta il referendum o si fa una nuova legge?

Siamo in un vicolo cieco. Può aspettare il Paese la consumazione del malato, sostenuto sinora da quel brodino di cui parlava Bertinotti?
La crisi generale nei rapporti parlamentari fra governo ed opposizione è un fatto inedito. Almeno in apparenza.
Chi ci garantisce che sotto sotto non si stia trattando un bel pateracchio al centro, con un celebrante d'eccezione, magari Giulio Andreotti. Astuzia internazionale (asse Roma-Vaticano), o provincialismo politico?

Può servire a qualcosa la lezione polacca?
Ne discute Barbara Spinelli nel fondo di oggi, dove scrive: «La Polonia del ressentiment apparsa negli ultimi anni ha somiglianze impressionanti con l’Italia che Berlusconi ha cambiato, plasmato. Anche da noi ci sono forze di destra che speculano sul ressentiment e costruiscono sul rancore, il vittimismo, l’invenzione della realtà. Anche queste forze hanno potere sui mezzi di comunicazione, usano l’anticomunismo come arma per tacitare ogni critica, sono sospettose verso le separazioni molteplici che la laicità insegna. Anche in Italia l’integralismo cattolico ha accresciuto il proprio peso, profittando della politica divenuta campo di battaglia fra amici e nemici mortali».

Invece Miriam Mafai ricorda su «Repubblica» di oggi come l'appello pontificio contro il lavoro precario sia stato spiegato dal presidente della Cei mons. Bagnasco in un modo del tutto particolare: si chiede lavoro stabile per creare famiglie fondate sul matrimonio eccetera.
Potremmo a questo punto proporre al parlamento di ammettere il lavoro precario soltanto per scapoli e conviventi? Ritorna a galla la questione della laicità dello Stato («Libera Chiesa in debole Stato»), di cui ha trattato ieri Michele Ainis. Quanto è compresa ed apprezzata la questione in campo "democristiano" oggi? Si dovrebbero ricordare gli esempi luminosi di De Gasperi ed Andreatta. La loro lezione non è soltanto una pagina da libro di storia.

14 ottobre 2007

Ombre di oggi, fantasmi di ieri

SorgiMarcello Sorgi ha condotto con estrema correttezza da lunedì a stamane la rassegna di «Prima pagina» su RadioTre.
Ovviamente oggi non ha citato un suo interessante articolo apparso su «La Stampa», «I mangiatori di pane e politica», che è uno dei pezzi più documentati apparsi sui quotidiani italiani alla vigilia del voto per il Pd.
Sorgi è ben informato. Ha così osservato che «in larga parte» del Paese, cioè nelle quindici regioni amministrate dal centrosinistra, è avvenuta «un’accorta lottizzazione del potere locale» che ha fatto venir meno «la distinzione tra Margherita e Ds».

Questo è il dramma italiano, l'«accorta lottizzazione» che non fa bene sperare neanche per il futuro pur con il nuovo partito.
Su questo futuro si proiettano le ombre di un passato che Sorgi analizza rievocando una costante storica del nostro Paese, il trasformismo. Per cui il nuovo appare sempre striato di vecchio.

Morosaragat Dalle ombre sul futuro alle ombre del passato, il passaggio è breve. Aldo Cazzullo sul «Corriere della Sera» di oggi presenta un libro di Giovanni Moro («Anni Settanta») che sarà distribuito da martedì, con un'intervista all'autore, figlio dello statista rimasto vittima del terrorismo.
Ne consiglio la lettura per rendersi conto dei «duri giudizi su Andreotti e Cossiga» (come recita un sottotitolo) e sul Vaticano, espressi da Giovanni Moro.

Il quadro che ne risulta conferma la drammaticità di un presente che rifiuta di fare luce su quelle ombre del passato, e l'anomalia del tutto italiana di un Paese che ha dimenticato lucidamente, secondo Giovanni Moro, di fare i giusti conti con l'uccisione di suo padre. Il quale è uno di quei fantasmi che ritornano, ovvero uno di quei morti, sono parole di Giovanni Moro, «che non riposano in pace e che non lasciano in pace nemmeno i vivi».

Non si tratta soltanto di un dolore personale, per Giovanni Moro. In esso si ritrovano i risvolti della storia di un intero Paese che ha preferito dimenticare, in mille modi e per mille convenienze quella tragedia del 1978.

Antonio Montanari