30 luglio 2006

Francesco Caruso

Francesco Caruso, fresco deputato rifondarolo dal lungo corso extraparlamentare, ha spiegato il suo voto favorevole all’indulto con il concetto di «scambio di prigionieri» fra «migliaia di poveri Cristi chiusi nelle celle per un niente» ed uno «sparutissimo gruppo di criminali in giacca e cravatta» legati a Forza Italia. Non siamo in grado di quantificare dal punto di vista scientifico il «niente» di cui dice il deputato belligerante a tempo pieno. Se la memoria non c’inganna, in quel «niente» rientrerebbe pure qualche caso di omicidio. Per la precisione sui giornali tra l’altro si è parlato di un signore che uccise entrambi i genitori, di un altro che fece fuori cinque donne, di una giovane che massacrò mamma e fratellino. La santa battaglia di Caruso a favore dei derelitti (che veramente esistono e non sono una sua invenzione di comodo), in questo caso è diretta più contro la logica che contro la Politica in genere. Che lui considera responsabile di tutti i mali sociali.
Caruso ha una di quelle facce simpatiche che avrebbero fatto liete le vecchie zie d’un tempo, sempre pronte a giustificare il male commesso dai loro nipoti in virtù d’una attenuante: sono inesperti del mondo. Ma oggi non esistono più le vecchie zie, e soprattutto pretendiamo che anche i giovani parlamentari come Caruso conoscano la differenza fra una guerra (in cui è importante lo «scambio di prigionieri») e lo Stato di Diritto in cui il primato della Legge (con tanto di iniziale maiuscola come nelle lapidi dei tribunali) non permette di considerare una condanna come la cattura d’un combattente da parte d’un esercito avversario. Se l’on. Caruso è legato a questa idea, forse ha sbagliato indirizzo entrando a Montecitorio. Anche se la sua frase è semplicemente frutto di un’esagerazione ideata al solo scopo di esprimere un sentimento di vicinanza a tanti derelitti, Caruso dovrebbe essere invitato a darsi una calmata. Purtroppo non sappiamo da chi. (Il presidente della Camera è del suo stesso partito.) Come capo storico dei «disobbedienti» italiani, Caruso si trova nell’imbarazzante posizione di legiferare, ovvero di imporre delle norme che lui stesso dovrebbe rifiutare per principio come ribelle in ferma permanente. Anche la disobbedienza può essere in tanti casi una virtù. Se diventa vizio, neppure le vecchie zie riuscirebbero a cancellarlo. La Giustizia dev’essere rapida per essere giusta, ma a troppi fa comodo così come è oggi.

29 luglio 2006

Rimini, inciucio o preveggenza?

La scelta dell’ex candidato sindaco Alberto Bucci di non votare contro Alberto Ravaioli e la sua giunta, ma di astenersi sulle linee programmatiche del governo cittadino, suona ampiamente innovativa, per cui sembra (in apparenza) aver ragione il capogruppo di Forza Italia Alessandro Ravaglioli: «È come se Berlusconi si fosse astenuto sulla fiducia di Prodi».

Ma per comprenderne il vero significato, forse non è inutile ascoltare le voci romane dai giornali di oggi sabato 29 luglio. Il presidente della Camera Bertinotti ha detto alla «Stampa»: «Le difficoltà si possono superare allargando la maggioranza di governo» con una discussione franca che «sotto traccia è già in corso». Il presidente del Senato Marini ricorre ad una contorta formula per invocare più confronto con l’opposizione e meno voti blindati per addivenire a scelte condivise. Anna Finocchiaro ha detto no allo «stress da voto di fiducia» per arrivare a scelte bipartisan su «questioni d’interesse nazionale».

Intanto Silvio Berlusconi (che sarà a Rimini in agosto al Meeting di CL) secondo Francesco Verderami («Corriere della sera»), promette un radicale cambiamento: farà «l’uomo di confine» allo scopo di ‘bruciare’ Casini, e quindi non sarà più l’oppositore irato di Prodi come sinora è fermamente stato.

Dunque Bucci potrebbe aver anticipato Berlusconi ed aver avviato da Rimini un esperimento nazionale, per un diverso «clima» di governo della cosa pubblica. Insomma una specie di rivoluzione che in sede locale ha la sua premessa nel risultato elettorale amministrativo della scorsa primavera, quando Forza Italia perse il 52,13% dei voti, mentre AN salì del 16,26. Un risultato che dimostrava come con la vecchia amministrazione di Ravaioli il Centro-destra (od almeno una sua parte) non se la fosse poi passata così male. Due assessori erano stati… defenestrati per la questione del troppo cemento. Tutto ciò aveva fatto prevedere non il ballottaggio per Ravaioli, ma addirittura la sua sconfitta al primo turno. Invece… Per la serie: l’orco non è poi brutto come lo si dipinge.

Adesso Bucci debutta con l’astensione. Se si tratta di una rivoluzione, essa ha un precedente nella scelta fatta da Massimo Conti il 13 giugno 1989: la sostituzione dell’antico legame fra Pci e Pci con un pentapartito che vince le elezioni del 1990 forte di 26 seggi su 50 (Psi +2, Pci –3, altri 2 li aveva persi nel 1985). Divenne sindaco Marco Moretti che alla parola pentapartito sostituì la formula di «bicolore fra laici e Dc». L’anno dopo proprio a Rimini al XX congresso del Pci nasceva il Pds.

Forse Bucci entrerà nella storia per una mossa preveggente che oggi a molti della sua stessa parte politica appare invece come un classico inciucio.

Antonio Montanari

23 luglio 2006

Dis/Servizi Segreti

Per cento giorni nel 1941 Ernest Hemingway lavorò come spia del governo americano. Sarebbe molto disdicevole che quei cronisti italiani che sono stati sinora al soldo dei nostri Servizi segreti, si considerassero colleghi d'arte del celebre romanziere. Le notizie degli ultimi giorni ci hanno mostrato terribili e persino luttuosi intrecci fra spioni, malaffare e politica. Persone perbene che hanno permesso alla magistratura di scoprire attività illecite di intercettazione, sono state trovate prive di vita. Sembra la scena di un film.
Ma è la realtà spaventosa. Su cui si lancia la rinnovata promessa di «riformare i Servizi» come soluzione di tutto. Ci si permetta di ritenerla una pia illusione, amaramente confermata dal ricordo che ad ogni riforma si contrappone con diabolica astuzia una controriforma per opera dei cosiddetti «settori deviati». Dei quali sappiamo che hanno operato, hanno prodotto spaventosi effetti destinati a turbare la quiete politica del Paese. Ma sui quali si conoscono ben poche informazioni perché in un modo o nell'altro si arriva al sigillo leggermente nauseabondo del «segreto di Stato». Che non permette di scoprire le cause di tanti fatti misteriosi accaduti in Italia, non sappiamo se tra l'indifferenza della politica, o se nel coinvolgimento di «certa» politica o di «certi» politicanti.
Esiste una maniera tutta nostrana di gestire i «segreti» e gli annessi Servizi. Spacciandosi ad esempio come combattenti di una quarta guerra mondiale, ma senza l'idea di sacrificarvi la vita, bensì di passare poi alla cassa per il rimborso spese. Sono scenette da commedia all'italiana, da vecchio film con Totò e Peppino De Filippo. Verrebbe da ridere se non ci fossero sull'asfalto i cadaveri eccellenti di quelle persone perbene che avevano lavorato per far rispettare la legge. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad invenzioni ben illustrate e amplificate anche in sede parlamentare, come il finto caso della Telecom Serbia. C'è da chiedersi (la risposta non è scontata): chi ha manovrato chi e per che cosa? Si è persino tentato di coinvolgere Romano Prodi come presidente europeo in una bega interna solo nostra, con documenti falsi passati ai giornali.
Dunque è tutta una specialità italica quella di inventare balle. Il dramma è che appunto ogni tanto ci sono poi delle notizie vere che recano storie di morte. Quanto lette non sappiamo, in questi giorni di caldo e soprattutto di discussioni sportive.

19 luglio 2006

Autogol di Bersani e del governo

La vertenza con i taxisti non è finita in pareggio, come crede il ministro Bersani, ma con un doppio autogol. Il governo si è dovuto arrendere davanti alle violente proteste sindacali, culminate a Roma nelle botte ad un giornalista. La seconda rete è stata incassata sul piano generale. Il governo aveva sfidato tutto e tutti: adesso vi facciamo vedere chi siamo. Gli esperti prima hanno commentato che le liberalizzazioni le avrebbe dovute fare Berlusconi, per cui se Prodi realizza un programma studiato su quello del signore di Arcore, qualche dubbio viene circa la fantasia di chi ha vinto le elezioni. Poi, sempre gli esperti hanno dimostrato che il decreto-Bersani rischia di ottenere effetti opposti a quelli che si era prefissato. Si vedano le critiche anche da Sinistra per le tariffe legali.

Dietro le quinte si sta muovendo qualcosa che rassomiglia ad una lenta cottura del premier. Enrico Letta ha detto: occorre convincere i moderati per allargare la maggioranza. Nelle stesse ore dalle sponde dell’opposizione Giulio Tremonti chiamava Forza Italia e Ds a scaldarsi per scendere in campo con la Grande Coalizione. Forse a Romano Prodi risulterà utile l’accordo con i taxisti. Viene il dubbio che molti dei suoi alleati sognino per lui a breve il viaggio di ritorno a Bologna.

Tutto dipenderà dal ruolo che vorrà svolgere il presidente della Repubblica, una cui intervista al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung ha provocato qualche apprensione nel Centro-sinistra. Al quale Napolitano ha fatto sapere che se la maggioranza di governo non fosse stata coesa sulla questione della missione afgana, ci sarebbero state «delle conseguenze» sul piano politico. La frase ha entusiasmato molti commentatori, non soltanto d’opposizione. Marcello Sorgi sulla Stampa ha scritto che siamo di fronte ad una novità non di poco conto: un presidente «politico» che «considera un suo preciso dovere influire sull’indirizzo e le strategie del Paese».

Nell’intervista Napolitano ha ribadito la nostra amicizia con gli Usa quale pilastro della politica estera, aggiungendo: «Fin dagli anni ’70 anche il più grande partito di opposizione, il partito comunista, lo aveva riconosciuto». Non sappiamo se la citazione da libro di Storia di Napolitano sia un ironico commento sul presente (c’è gente che non comprende ora quello che noi avevamo capìto molti anni fa), oppure un inconscio richiamo ad un primato del Pci anche dopo la sua fine.

04 luglio 2006

Bossi come Garibaldi?

Siamo sommersi da buone notizie. Scrive un quotidiano: in una società sempre più infantile, la moda dei bambini accetta regole e manie dei più grandi. Tradotto: i grandi rincretiniscono, i piccoli li imitano. I cinesi esportano i loro prodotti ed in cambio importano i modelli occidentali. Non quei baldi giovanotti che sfilano sulle passerelle addobbati da coniglio in porchetta, ma gli esempi della nostra politica. La notizia è questa: in Cina si ruba al partito per pagare le amanti. Le quali si sono ribellate, per eccesso di concorrenza sotto uno stesso tetto.
Loro non sanno che a Pechino si erano ispirati in anticipo al decreto Bersani sull’abolizione dei privilegi di categoria. Lo spirito monogamico ha però battuto l’esportazione della democrazia occidentale avvenuta senza sparare un colpo, ma soltanto evitando di far sapere alle signore cinesi in questione che le aspiranti attrici italiane hanno esperienze ben peggiori, dovendo cenare con il cantante Malgioglio. Adesso le concubine dell’ex celeste impero rivendicano il numero chiuso, come i taxisti italiani contro Prodi.
A completamento del quadro cinese, apprendiamo che quelle città con il boom economico sono tra le più inquinate del mondo. La loro aria uccide, lo smog provoca un record di vittime.
Molto meglio da noi. Leggiamo da «CorrierEconomia» (3 luglio): «Nell’ultimo anno la Borsa è stata un business: per le banche, non per i risparmiatori». I dati: su 4,4 miliardi raccolti, ne è stato bruciato uno e mezzo circa. Si riconferma l’aurea e tranquillizzante regola: gli istituti bancari fanno affari d’oro sulla pelle dei risparmiatori.
Immaginavamo l’on. Mastella in tranquilla vacanza. Invece è agitato, al governo. Dove si chiederebbe, stando ad un giornale, che cosa ci stia a fare, consapevole di contare meno del due di briscola. Coraggio, simpatico Clemente, compia un gesto ardito fuggendo dalle riunioni di palazzo Chigi. C’è già chi è pronto a prenderne il posto, come teme Berlusconi dopo l’incontro tra capo dello Stato e capo della Lega, una replica di quello di Teano fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II.
Unica differenza: quello della camicia rossa portava il Meridione all’Italia, questo della camicia verde lo affonderebbe senza complimenti. Napolitano ha rassicurato: Bossi è realista sulle riforme. Ci preoccupa tutto il resto. I garibaldini volevano essere sepolti con la loro bandiera. Per Bossi il tricolore può sostituire la carta igienica.