Sylvia Ronchey e Sigismondo Malatesti
Sigismondo, il sogno di regnare a Bisanzio
La tesi di Silvia Ronchey in un libro su Piero Della Francesca
La tesi di Silvia Ronchey in un libro su Piero Della Francesca
I Malatesti di Pesaro e Rimini sono la trama sulla quale Silvia Ronchey, docente di Civiltà bizantina all'Università di Siena, compone un affascinante e colorito arazzo letterario che ha per centro logico la «Flagellazione» di Piero Della Francesca ed i suoi significati allegorici.
L'autrice colloca Sigismondo ed il nostro Tempio in un contesto di politica internazionale (la contrapposizione tra Roma e Bisanzio), nel quale il signore di Rimini è considerato protagonista del tentativo (fallito) di salvare Costantinopoli, con la spedizione in Morea del 1464-1466. Sigismondo si sarebbe rappacificato con il papa in vista di questa spedizione che aveva come scopo quello di occupare il trono di Bisanzio. Dove invano si era atteso un erede proprio da una Malatesti, Cleofe (o Cleopa), cugina pesarese di Sigismondo e dal 1421 sposa di Teodoro II Paleologo despota di Morea e secondogenito dell'imperatore di Costantinopoli Manuele II.
Cleofe scompare nel 1433. La sua è una morte «oscura» secondo la Ronchey. Cleofe era stata minacciata di ripudio per non volere abiurare la fede cattolica. Altre fonti raccontano diversamente la fine di Cleofe, e la dicono fuggita da Bisanzio assieme al fratello Pandolfo, gobbo e sfortunato vescovo di Patrasso dal 1424.
In questo libro si accenna all'ipotesi che sia di Cleofe la mummia ritrovata nel 1955 in una chiesa di Mistra, l'antica Sparta capitale della Morea. Se Cleofe «fosse stata assassinata, Sigismondo Malatesta avrebbe avuto da parte sua anche un motivo in più per tenere tanto a condurre la crociata» in Morea. Ma Anna Falcioni dell'Università di Urbino ha spiegato (1999) che Cleofe e Pandolfo nel 1430 fuggirono da Mistra. Due anni prima Cleofe si era detta «sagurata» (sciagurata) scrivendo alla sorella Paola, e si era raccomandata alle di lei preghiere.
La Ronchey mette in guardia contro le «elucubrazioni fantastiche» degli ambienti esoterico-massonici, ma finisce per accettarne pienamente una che, con il francese Charles Yriarte [1832-1898], conclude appunto sulla via esoterico-massonica del Tempio pagano, come confermerebbe il trasferimento in esso da parte di Sigismondo, delle ossa di Pletone definito da qualcuno capo supremo della massoneria europea...
Yriarte nel 1882 («Un condottiere au XV siècle») aveva sottolineato come nelle allegorie e nei simboli del nostro Tempio ritornassero miti, credenze e spirito dei greci, scartando in tal modo sbrigativamente ogni influsso cristiano («Non è Dio che qui si adora, è Isotta; è per lei che bruciano l'incenso e la mirra»). Corrado Ricci nel suo celeberrimo studio sul Tempio parla di «facilità irriflessiva» di Yriarte.
Per la Ronchey le ossa di Pletone trasferite a Rimini sono un «messaggio politico», testimonianza della pretesa di Sigismondo di accampare diritti sul trono bizantino. Su quest'ipotesi si elabora tutto il discorso del libro, essere cioè la «Flagellazione» un'opera di propaganda per una crociata diretta a liberare Costantinopoli caduta nel 1453 in mano ai mussulmani. Il volume («L'enigma di Piero. L'ultimo bizantino e la crociata fantasma nella rivelazione di un grande quadro», Rizzoli, pp. 540, euro 21), ha un'appendice di completamento su Internet liberamente consultabile.
Antonio Montanari
L'autrice colloca Sigismondo ed il nostro Tempio in un contesto di politica internazionale (la contrapposizione tra Roma e Bisanzio), nel quale il signore di Rimini è considerato protagonista del tentativo (fallito) di salvare Costantinopoli, con la spedizione in Morea del 1464-1466. Sigismondo si sarebbe rappacificato con il papa in vista di questa spedizione che aveva come scopo quello di occupare il trono di Bisanzio. Dove invano si era atteso un erede proprio da una Malatesti, Cleofe (o Cleopa), cugina pesarese di Sigismondo e dal 1421 sposa di Teodoro II Paleologo despota di Morea e secondogenito dell'imperatore di Costantinopoli Manuele II.
Cleofe scompare nel 1433. La sua è una morte «oscura» secondo la Ronchey. Cleofe era stata minacciata di ripudio per non volere abiurare la fede cattolica. Altre fonti raccontano diversamente la fine di Cleofe, e la dicono fuggita da Bisanzio assieme al fratello Pandolfo, gobbo e sfortunato vescovo di Patrasso dal 1424.
In questo libro si accenna all'ipotesi che sia di Cleofe la mummia ritrovata nel 1955 in una chiesa di Mistra, l'antica Sparta capitale della Morea. Se Cleofe «fosse stata assassinata, Sigismondo Malatesta avrebbe avuto da parte sua anche un motivo in più per tenere tanto a condurre la crociata» in Morea. Ma Anna Falcioni dell'Università di Urbino ha spiegato (1999) che Cleofe e Pandolfo nel 1430 fuggirono da Mistra. Due anni prima Cleofe si era detta «sagurata» (sciagurata) scrivendo alla sorella Paola, e si era raccomandata alle di lei preghiere.
La Ronchey mette in guardia contro le «elucubrazioni fantastiche» degli ambienti esoterico-massonici, ma finisce per accettarne pienamente una che, con il francese Charles Yriarte [1832-1898], conclude appunto sulla via esoterico-massonica del Tempio pagano, come confermerebbe il trasferimento in esso da parte di Sigismondo, delle ossa di Pletone definito da qualcuno capo supremo della massoneria europea...
Yriarte nel 1882 («Un condottiere au XV siècle») aveva sottolineato come nelle allegorie e nei simboli del nostro Tempio ritornassero miti, credenze e spirito dei greci, scartando in tal modo sbrigativamente ogni influsso cristiano («Non è Dio che qui si adora, è Isotta; è per lei che bruciano l'incenso e la mirra»). Corrado Ricci nel suo celeberrimo studio sul Tempio parla di «facilità irriflessiva» di Yriarte.
Per la Ronchey le ossa di Pletone trasferite a Rimini sono un «messaggio politico», testimonianza della pretesa di Sigismondo di accampare diritti sul trono bizantino. Su quest'ipotesi si elabora tutto il discorso del libro, essere cioè la «Flagellazione» un'opera di propaganda per una crociata diretta a liberare Costantinopoli caduta nel 1453 in mano ai mussulmani. Il volume («L'enigma di Piero. L'ultimo bizantino e la crociata fantasma nella rivelazione di un grande quadro», Rizzoli, pp. 540, euro 21), ha un'appendice di completamento su Internet liberamente consultabile.
Antonio Montanari
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