Varsavia, una lezione per noi
Clamoroso dietrofront del Vaticano. Il papa ha imposto le dimissioni a monsignor Stanislaw Wielgus, dopo che per ben due volte (il 21 dicembre 2006 ed il 5 gennaio scorso), gli aveva confermato la sua fiducia incondizionata.
Il montare della polemica sul passato da spia comunista del neo arcivescovo di Varsavia, ha travolto le ultime resistenza dei Palazzi apostolici.
La Curia romana risulta la vera sconfitta dell'intera vicenda, dopo aver istruito la pratica di Wielgus, il quale ne esce tutto sommato a testa alta. Ha ammesso il suo "errore" dopo averlo inizialmente negato. Roma però lo ha sempre coperto, accettando sino all'ultimo momento una situazione assurda. In tal modo l'indietro tutta del papa è ancora più eclatante, ed è la sconfessione della procedura seguìta dalla Curia romana, consapevole della realtà drammatica e dolorosa delle cose, ma con testardo orgoglio noncurante dei gravi riflessi negativi che una tale nomina avrebbe potuto avere (come in effetti ha avuto) nell'opinione pubblica non soltanto polacca.
La Curia forse ha ritenuto che Varsavia fosse facilmente controllabile ed addomesticabile come accade con i vicini politici italiani. Da ciò deriva una severa lezione per il nostro Paese circa la linea laica da seguire nel rispetto della Costituzione del 1948.
La lettera di Wielgus ai fedeli scaricava formalmente, venerdì scorso, ogni responsabilità su Roma. Wielgus ammetteva infatti d'aver detto al papa che era stato coinvolto «con i servizi di sicurezza dell'epoca che operavano in uno stato totalitario e ostile nei confronti della Chiesa».
Ma il papa ed i «dicasteri competenti della Capitale Apostolica», aveva aggiunto Wielgus, non avevano manifestato rilievi. Per scaricare la sua coscienza, Wielgus si confessava davanti a tutti e fuori dai vincoli burocratici.
A quel punto la situazione era insostenibile per Roma. Oggi, mentre ci aspettavamo di vedere le telecronache del discusso insediamento del nuovo arcivescovo di Varsavia, è avvenuto all'ultimo momento il colpo di teatro. Il papa accettava quelle che sono state chiamate dimissioni soltanto per rispetto formale dei codici di Diritto canonico. In realtà si è trattato di un licenziamento in tronco del personaggio divenuto scomodo e non più difendibile davanti all'opinione pubblica mondiale, al punto di far ipotizzare che abbia spiato dal 1967 e per vent'anni anche Karol Woityla sia da cardinale sia da papa, il papa della caduta del muro di Berlino.
Come scriveva stamani sulla Stampa, con una domanda retorica, Franco Garelli, ammesso che Wielgus abbia realmente informato il Vaticano sul suo passato di spia, la sua nomina poteva apparire come «la sconfessione» della lotta condotta in patria e nel mondo dallo stesso Karol Woityla «contro il comunismo e per i diritti religiosi e civili».
L'episodio di Varsavia è accaduto all'interno del mondo cattolico e dell'Europa, questa volta non ci sono musulmani da incolpare, al contrario di quanto accaduto dopo il discorso papale di Ratisbona, dove Benedetto XVI aveva offerto improvvidamente una citazione da Manuele II Paleologo, per il quale Maometto aveva portato soltanto «cose cattive e disumane».
Questa volta sono gli stessi ambienti cattolici (non tutti, s'intende) a giudicare inadeguata l'azione della «Capitale Apostolica».
Resta soltanto da chiedersi: è colpa di Benedetto XVI oppure si tratta di un tiro mancino della Curia ai suoi danni?
La vicenda polacca avviene all'indomani del discorso papale sulla «immensa espansione dei mass-media», i quali se da una parte moltiplicano le informazioni dall'altra «sembrano indebolire la nostra capacità di sintesi critica».
Quanto accaduto a Varsavia per il caso Wielgus fornisce un'indicazione opposta: il moltiplicarsi delle notizie ha favorito la «sintesi critica», sino al punto di spingere il Vaticano a far marcia indietro sulla sua decisione per quella sede arcivescovile. A Varsavia nessuno immaginava una soluzione così rapida ed inattesa, data la tradizione ecclesiastica dei «tempi biblici».
A Roma dovrebbero mandare a memoria la frase dello storico Bronislaw Geremek, già vicino a Solidarnosc: i polacchi di oggi pensano che Karol Woityla non avrebbe mai scelto un personaggio come Wielgus per la carica da arcivescovo della capitale.
Il montare della polemica sul passato da spia comunista del neo arcivescovo di Varsavia, ha travolto le ultime resistenza dei Palazzi apostolici.
La Curia romana risulta la vera sconfitta dell'intera vicenda, dopo aver istruito la pratica di Wielgus, il quale ne esce tutto sommato a testa alta. Ha ammesso il suo "errore" dopo averlo inizialmente negato. Roma però lo ha sempre coperto, accettando sino all'ultimo momento una situazione assurda. In tal modo l'indietro tutta del papa è ancora più eclatante, ed è la sconfessione della procedura seguìta dalla Curia romana, consapevole della realtà drammatica e dolorosa delle cose, ma con testardo orgoglio noncurante dei gravi riflessi negativi che una tale nomina avrebbe potuto avere (come in effetti ha avuto) nell'opinione pubblica non soltanto polacca.
La Curia forse ha ritenuto che Varsavia fosse facilmente controllabile ed addomesticabile come accade con i vicini politici italiani. Da ciò deriva una severa lezione per il nostro Paese circa la linea laica da seguire nel rispetto della Costituzione del 1948.
La lettera di Wielgus ai fedeli scaricava formalmente, venerdì scorso, ogni responsabilità su Roma. Wielgus ammetteva infatti d'aver detto al papa che era stato coinvolto «con i servizi di sicurezza dell'epoca che operavano in uno stato totalitario e ostile nei confronti della Chiesa».
Ma il papa ed i «dicasteri competenti della Capitale Apostolica», aveva aggiunto Wielgus, non avevano manifestato rilievi. Per scaricare la sua coscienza, Wielgus si confessava davanti a tutti e fuori dai vincoli burocratici.
A quel punto la situazione era insostenibile per Roma. Oggi, mentre ci aspettavamo di vedere le telecronache del discusso insediamento del nuovo arcivescovo di Varsavia, è avvenuto all'ultimo momento il colpo di teatro. Il papa accettava quelle che sono state chiamate dimissioni soltanto per rispetto formale dei codici di Diritto canonico. In realtà si è trattato di un licenziamento in tronco del personaggio divenuto scomodo e non più difendibile davanti all'opinione pubblica mondiale, al punto di far ipotizzare che abbia spiato dal 1967 e per vent'anni anche Karol Woityla sia da cardinale sia da papa, il papa della caduta del muro di Berlino.
Come scriveva stamani sulla Stampa, con una domanda retorica, Franco Garelli, ammesso che Wielgus abbia realmente informato il Vaticano sul suo passato di spia, la sua nomina poteva apparire come «la sconfessione» della lotta condotta in patria e nel mondo dallo stesso Karol Woityla «contro il comunismo e per i diritti religiosi e civili».
L'episodio di Varsavia è accaduto all'interno del mondo cattolico e dell'Europa, questa volta non ci sono musulmani da incolpare, al contrario di quanto accaduto dopo il discorso papale di Ratisbona, dove Benedetto XVI aveva offerto improvvidamente una citazione da Manuele II Paleologo, per il quale Maometto aveva portato soltanto «cose cattive e disumane».
Questa volta sono gli stessi ambienti cattolici (non tutti, s'intende) a giudicare inadeguata l'azione della «Capitale Apostolica».
Resta soltanto da chiedersi: è colpa di Benedetto XVI oppure si tratta di un tiro mancino della Curia ai suoi danni?
La vicenda polacca avviene all'indomani del discorso papale sulla «immensa espansione dei mass-media», i quali se da una parte moltiplicano le informazioni dall'altra «sembrano indebolire la nostra capacità di sintesi critica».
Quanto accaduto a Varsavia per il caso Wielgus fornisce un'indicazione opposta: il moltiplicarsi delle notizie ha favorito la «sintesi critica», sino al punto di spingere il Vaticano a far marcia indietro sulla sua decisione per quella sede arcivescovile. A Varsavia nessuno immaginava una soluzione così rapida ed inattesa, data la tradizione ecclesiastica dei «tempi biblici».
A Roma dovrebbero mandare a memoria la frase dello storico Bronislaw Geremek, già vicino a Solidarnosc: i polacchi di oggi pensano che Karol Woityla non avrebbe mai scelto un personaggio come Wielgus per la carica da arcivescovo della capitale.