01 ottobre 2006

Finanziaria

Pure Gianni Morandi non è più lui. Gli autori del suo spettacolo tivù gli hanno imposto un cambiamento assurdo. Da sempre era il ragazzo di Monghidoro che aveva chiesto alle coetanee di farsi mandare dalle mamme a prendere il latte. Ora è diventato la brutta copia del ragazzo della via Gluck.

Come Celentano pure lui l’ha buttata in politica. Si è presentato con un’aria spaesata che contrastava con il copione da recitare. Gli hanno inventato una parte che cominciava dicendo che anche lui sarebbe «sceso in campo» perché sa cantare come Berlusconi e corre come Prodi. Già questo doppio gemellaggio avrebbe dovuto consigliare i suoi collaboratori a lasciar perdere.

Gli italiani hanno le tasche piene di «questa» politica. Di Berlusconi per motivi che conoscono bene anche i suoi sostenitori. Aldilà delle canzonette duettate con Apicella, c’è stato molto fumo e poco arrosto. Glielo ha detto con grazia Giuliano Ferrara dal «Foglio», glielo ha gridato inutilmente Vittorio Feltri da «Libero», glielo ha suggerito con cautela Paolo Guzzanti dal «Giornale» che è cosa loro, nel senso che appartiene alla famiglia di Arcore.

Prodi ha vinto la maratona delle elezioni primarie con quattro e passa milioni di voti. Dopo di che ha fatto del suo meglio per perdere consensi alle politiche dove quel risicato margine di 23 mila schede gli è stato rimproverato dall’opposizione, incapace di vedere (anzi di prevedere) che il professore avrebbe fatto del suo meglio per offrire agli avversari grande quantità di argomentazioni a proprio sfavore, come è successo dal viaggio in Cina al ritorno alle Camere.

Pensate se anche gli autori che circondano Prodi tentassero di trasformarlo in una pallida imitazione di quel Celentano che sembra esser diventato il metro di paragone di tutto. Al punto che la gente molte volte, assistendo a discussioni poco convincenti, s’interroga: gli argomenti di fondo sono forniti dal capo dello storico Clan o da Maurizio Costanzo Sciò? Avremmo un Prodi alla Gianni Morandi che imita Celentano. Altro che Romano, sarebbe un Romagnolo per via degli accenti. E nella sostanza ripeterebbe quello che ha già mostrato a Pechino, con quel «Ma siamo matti?» detto a chi gli chiedeva se fosse andato in Parlamento a parlare del caso Telecom, non sapendo che avrebbe poi dovuto fare retromarcia.

Questo Prodi celentanizzato spiegherebbe che anziché di 24 mila baci (eccessivi per la finanziaria) si accontenterebbe di alcune carezze.