15 febbraio 2008

Giuliano Ferrara, beato lui


Beato lui, Giuliano Ferrara, che ha trovato la "verità sulla vita umana", e si rifiuta di discuterne o discuterla. I confronti sono futili, dice. Si sottrae al dibattito. Però chiede che gli sia consentita la 'par condicio' prevista dalla legge per le elezioni. Alle quali si candida con questa lista che ha inventato, per fermare la strage degli aborti nel mondo. Beato lui, che non s'accorge di un piccolo fatto: non riescono a governare l'Italia, i nostri due rami del Parlamento, e dovrebbero pure pensare a risistemare il mondo. «Senza fanatismo», dice di aver trovato questa verità. Ma con fanatismo sembra difenderla. È un suo diritto. Credo che però risulterebbe più efficace nella esposizione, se avesse la buona volontà, non dico l'umiltà, di sottostare alla regola del pubblico dibattito televisivo. Lo vuole fare in un teatro, perché la tivù rovina tutto: "Io non discuterò della vita umana, come se fosse un'opinione, con alcun candidato in tv. La tv è antiveritativa. Un bel mezzo per comunicare, rispettabile e fatto da persone rispettabili, tra cui io stesso fino a ieri. Ma sul ponte di Messina o sull'Ici valgono le opinioni, sulla vita umana e l'amore vale la solitaria e pubblica ricerca della verità". Sembrano parole di Antonio Ricci, il Maestro di "Striscia la notizia", il teorico del "tutto finto" in tv. Beato lui, Giuliano Ferrara che se ne va sicuro, senza curarsi delle ombre che proiettiamo sui nostri muri. Come suggeriva Eugenio Montale in una celebre poesia, "Non chiederci la parola". Non ci chieda Ferrara alcuna parola in più. Si resta senza, quando lui comincia le sue filippiche (come l'altra sera da Lerner) e rifiuta la discussione. Stamani su RaiUno ha evitato il futile dibattito con il vecchio Marco Pannella, leone in gabbia, defraudato del confronto. Alla fine Pannella è esploso con quelle dichiarazione che nascono da una passione pari a quella di Ferrara. Ecco perché dispiace ancora di più che Ferrara abbia voluto non misurarsi con un antico maestro dell'arte retorica in politica. È sembrato, Ferrara, un giovincello schizzinoso quale invece non è, e che rifiutava di riconoscersi allievo di quel maestro. Magari in debito di un gratitudine. Insomma, problemi psicologici o psicoanalitici, da figlio che voleva (davanti al 'padre' spirituale) tentare di superarlo e di demolirlo? Siamo entrati nell'era delle affermazioni apodittiche. Berlusconi ha tranquillamente potuto dire da Vespa che lui e don Verzé studiano per allungare la vita umana a 120 anni. Commenterebbe Ferrara che non è, quella del cavaliere, un'affermazione vera perché fatta in tv. Su questo siamo d'accordo con lui: è una balla. Ma quando se ne dicono di tale portata, chi ha obbligo d'intervenire per difendere non quella che Ferrara chiama la "verità sulla vita", ma la decenza della logica scientifica usata come un belletto in carnevale da fanciulle avvizzite e dalla virtù ormai dimenticata? Anno III, post n. 50 (427)
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